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 :: Cristo si è fermato ad Eboli ::
Scheda
Autore: Carlo Levi
Anno pubblicazione: 1945
Genere: Romanzo autobiografico

Trama

L' Eboli citata è il paese campano dove, una volta abbandonata la costa, si fermano la strada e la ferrovia; superato tale punto, si arriva nelle terre aride, desolate e dimenticate da Dio della Basilicata. I contadini di questa terra non appartengono ai comuni canoni di civiltà, ma sono inseriti in una Storia diversa, che ha un sapore magico e pagano, una Storia nella quale Cristo non è mai arrivato. Carlo Levi, confinato confinato qui durante il 1935-1936, racconta la sua esperienza in quel di Grassano, paesino sperduto sui monti lucani.

Opinioni:

Di per sè il romanzo non ha una trama che ti tiene incollato alle pagine per concluderlo, anzi ha un ritmo narrativo molto lento, quasi volesse farci percepire come egli stesso abbia fatto fatica ad abituarsi ai ritmi quasi monotoni e sempre uguali di una civiltà sostanzialmente immutata da secoli. Nonostante ciò non si riesce a saltare nemmeno una riga del libro per il timore di essersi persi un frammento di quella vita così distante da noi, dalle nostre convinzioni e dalle nostre credenze di "uomini illuminati".
Egli non dà un giudizio sulla vita di questi contadini ma si limita a descrivere ciò che vede, quasi riuscisse ad estrapolare sè stesso dal racconto e farci avere una visione d'insieme. Non so se si possa considerare questo un autore neorealista come ho letto da qualche parte, so che è riuscito a coinvolgermi e ad avvolgermi in una realtà altrimenti per me completamente estranea senza alcun condizionamento da parte del suo narratore.
Inoltre è l'unico libro di cui ho letto tutte le descrizioni. Certo, sostanzialmente E' descrittivo, ma riuscire a trovare le parole giuste e mai banali credetemi non è facile e non è da tutti (nelle citazioni potete trovarne un paio di esempio).

Citazione:

Giulia era una donna alta e formosa, con un vitino sottile come quello di un'anfora, tra il petto e i fianchi robusti. Doveva aver avuto, nella sua gioventù, una specie di barbara e solenne bellezza. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria, ma restavano i segni dell'antica venustà nella sua struttura severa, come nei muri di un tempio classico, che ha perso i marmi che l'adornavano, ma conserva intatta la forma e le proporzioni. Sul grande corpo imponente, diritto, spirante una forza animalesca, si ergeva, coperta dal velo, una testa piccola, dall'ovale allungato. La fronte era alta e diritta, mezza coperta da una ciocca di capelli nerissimi lisci e unti; gli occhi a mandorla, neri e opachi, avevano il bianco venato di azzurro e bruno, come quelli dei cani. Il naso era lungo e sottile, un pò arcuato; la bocca larga, dalle labbra sottili e pallide, con una piega amara, si apriva per un riso cattivo a mostrare due file di denti bianchissimi, potenti come quelli di un lupo. Questo viso aveva un fortissimo carattere arcaico, non nel senso del classico greco, nè del romano, ma di una antichità più misteriosa e crudele, cresciuta sempre sulla stessa terra, senza rapporti e mistioni con gli uomini, ma legata alla zolla e alle eterne divinità animali. Vi si vedevano una fredda sensualità, una oscura ironia, una crudeltà naturale, una protervia impenetrabile e una passività piena di potenza, che si legavano in un'espressione insieme severa, intelligente e malvagia. Nell'ondeggiare dei veli e della larga gonnella corta, delle lunghe gambe robuste come tronchi d'albero, quel grande corpo si muoveva con gesti lenti, equilibrati, pieni di una forza armonica e portava, erta e fiera, su quella base monumentale e materna, la piccola, nera testa di serpente.[...]
Era una donna antichissima, come se avesse avuto centinaia d'anni, e nulla perciò le potesse essere celato; la sua sapienza non era quella bonaria e proverbiale delle vecchie, legata a una tradizione impersonale, nè quella pettegola di una faccendiera; ma si specchiava senza pietà e senza giudizio morale: nè compatimento nè biasimo apparivano mai nel suo ambiguo sorriso. Era, come le bestie, uno spirito della terra; non aveva paura del tempo, nè della fatica, nè degli uomini. Sapeva portare senza sforzo, come tutte le donne di qui, che fanno, invece degli uomini i lavori pesanti, i più grav pesi. Andava alla fontana con la botte da trenta litri, e la riportava piena sul capo, senza reggerla con le mani, occupata a tenere il bambino, inerpicandosi sui sassi della strada ripida con l'equilibrio diabolico di una capra.[...]


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