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(:cellnr bgcolor=#e7e7e7 colspan=2 align=center:) '''Dati Tecnici'''
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(:cellnr bgcolor=#f6f6f6:) ''Cavalli:''
(:cell bgcolor=#f6f6f6:) Al traino
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(:cellnr bgcolor=#f5f9fc:) ''Cavalli:''
(:cell bgcolor=#f5f9fc:) Al traino
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(:cellnr bgcolor=#f6f6f6:) ''Optionals:''
(:cell bgcolor=#f6f6f6:) Lettore CD, ruote
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(:cellnr bgcolor=#f5f9fc:) ''Optionals:''
(:cell bgcolor=#f5f9fc:) Lettore CD, ruote
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%lframe width=400% http://img50.imageshack.us/img50/7200/chery3at7.jpg|'''La linea aggressiva della nuova Matiz'''
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Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché fosse lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricare. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e pungente odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? cosa aveva fatto? Baciò le bruciature come fossero reliquie e inondò di lacrime il metallo. E fu in quel momento che lo udì. Nel silenzio. Inaspettato. Ridicolo. ''PEE''. Alzò gli occhi, stranito. ''PEE PEE''. Si guardò intorno, con una smorfia. ''PEE PEE PEE''. Si voltò: alle sue spalle era comparsa un'automobile, piccola, blu, vuota e con qualche ammaccatura. ''PEEEEEEEEE''. Era un clacson allora. Beh, buffo, pensò. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. ''PE PE PE PEEEEE''. Aprì la portiera, come in trance, controllò che dietro i sedili non ci fosse nessuno, e si sedette. Si guardò intorno e notò il ciondolo che dondolava dallo specchietto retrovisore: ne aveva regalato uno identico a ''Guyŏk Matiz'' anni prima. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Singhiozzò ancora per qualche minuto, in silenzio, esalando sbuffi di condensa sempre più densi ad ogni respiro. L'aria nell'abitacolo diventava sempre più fredda. Smise di piangere e tirò su forte col naso, rimanendo con la testa sollevata a metà e con un'espressione pensosa sul viso. Aveva sentito un odore familiare. Non gli veniva in mente quale, ma gli era familiare... era un buon profumo... una fragranza occidentale... ciannè, scianel, come si chiamava? sua moglie andava matta per quella roba... ricordò che quando a Natale le regalò il boccettino, lei gli giurò che... ''Sadong'' sgranò gli occhi.
to:
Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché fosse lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricare. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e pungente odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? cosa aveva fatto? Baciò le bruciature come fossero reliquie e inondò di lacrime il metallo. E fu in quel momento che lo udì. Nel silenzio. Inaspettato. Ridicolo. ''PEE''. Alzò gli occhi, stranito. ''PEE PEE''. Si guardò intorno, con una smorfia. ''PEE PEE PEE''. Si voltò: alle sue spalle era comparsa un'automobile, piccola, blu, vuota e con qualche ammaccatura. ''PEEEEEEEEE''. Era un clacson allora. Beh, buffo, pensò. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. ''PE PE PE PEEEEE''. Aprì la portiera, come in trance, controllò che dietro i sedili non ci fosse nessuno, e si sedette. Si guardò intorno e notò il ciondolo che dondolava dallo specchietto retrovisore: ne aveva regalato uno identico a ''Guyŏk Matiz'' anni prima. Al ricordo gli occhi gli si riempirono di lacrime. Singhiozzò ancora per qualche minuto, in silenzio, esalando sbuffi di condensa più densi ad ogni respiro. L'aria nell'abitacolo diventava sempre più fredda. Smise di piangere e tirò su forte col naso, immobilizzandosi di colpo, la testa sollevata a metà e un'espressione pensosa sul viso. Aveva sentito un odore familiare. Non gli veniva in mente quale, ma gli era familiare... era un buon profumo... una fragranza occidentale... ciannè, scianel, come si chiamava? sua moglie andava matta per quella roba... ricordò che quando a Natale le regalò il boccettino, lei gli giurò che... ''Sadong'' sgranò gli occhi.
Changed lines 26-29 from:
La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure erano scattate. La radio si accese su frequenze disturbate. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiotti viscosi di liquido grigio sul lunotto. L'orologio digitale segnava incandescente le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati. Il volante era bloccato. Il cambio rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Il tettuccio cominciava a sanguinare. Mani invisibili mossero le cinture, lasciandole abbracciare la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Ma le cinture stringevano e la vita si allentava. Poi il ciondolo esplose. La radio esplose. I vetri in pezzi. Il sangue di ''Sadong Daewoo'' si unì a quello ferrigno dell'auto. Il motore rombò tre volte e tre volte grippò, in una risata a scoppio che soffocava con lui. Infine una scintilla, una supernova di metallo e la macchina era scomparsa.

Non siete costretti a credermi, io stesso non mi crederei. L'uomo che mi ha raccontato questa storia è morto ormai da anni (ironia della sorte, proprio a causa di un incidente stradale), e voi siete gli unici a conoscerla oltre a me. Ma ancora oggi, nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso turbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE'' nelle tenebre. E qualche vagabondo giura di aver visto una sudicia macchina blu aggirarsi per le campagne, seguendo le linee dei tralicci dell'alta tensione. Si muove a fari spenti, guidata da uno spettro. Mi sembra di vedere il riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Nitido. Abbagliante. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.
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La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure erano scattate. La radio si accese su frequenze disturbate. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiotti viscosi di liquido grigio sul lunotto. L'orologio digitale segnava incandescente le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati. Il volante era bloccato. Il cambio rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Il tettuccio sanguinava cenere. Mani invisibili mossero le cinture, ad abbracciare la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Ma le cinture stringevano e la vita si allentava. Poi il ciondolo esplose. La radio esplose. I vetri in pezzi. Il sangue di ''Sadong Daewoo'' si unì a quello ferrigno dell'auto. Il motore rombò tre volte e tre volte grippò, in una risata a scoppio che soffocava con lui. Infine una scintilla, una supernova di metallo e la macchina scomparve.

Non siete costretti a credermi, io stesso non mi crederei. L'uomo che mi ha raccontato questa storia è morto ormai da anni (ironia della sorte, proprio a causa di un incidente stradale), e voi siete gli unici a conoscerla insieme a me. Ma ancora oggi, nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso turbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE'' nelle tenebre. E qualche vagabondo giura di aver visto una sudicia macchina blu aggirarsi per le campagne, seguendo le linee dell'alta tensione. Si muove a fari spenti, silenziosa, guidata da uno spettro. Mi sembra di vedere il riflesso argentato sulla sua carrozzeria. Nitido. Abbagliante. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.
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"'''NO!'''"

La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure erano scattate. La radio si accese su frequenze disturbate. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiotti viscosi di liquido grigio sul lunotto. Prima di fondere, l'orologio digitale segnò con lettere incandescenti le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati. Il volante era bloccato. Il cambio era rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Il tettuccio cominciò a sanguinare. Mani invisibili mossero le cinture, lasciandole abbracciare la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Il ciondolo esplose. La radio esplose. I vetri in pezzi. Il sangue di ''Sadong Daewoo'' si univa a quello grigio della macchina. Il motore per tre volte rombò e si grippò, in una risata a scoppio che soffocava con lui. Una scintilla. Un boato. La macchina era scomparsa.

Non siete costretti a credermi, io stesso non mi crederei
. Ma ancora oggi, nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso turbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE'' nelle tenebre. E qualche vagabondo giura di aver visto una sudicia macchina blu aggirarsi per le campagne, seguendo le linee dei tralicci dell'alta tensione, a fari spenti e guidata da uno spettro. Giura di aver visto un riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Nitido. Abbagliante. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.
to:
"'''NON E' POSSIBILE!'''"

La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure erano scattate. La radio si accese su frequenze disturbate. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiotti viscosi di liquido grigio sul lunotto. L'orologio digitale segnava incandescente le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati. Il volante era bloccato. Il cambio rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Il tettuccio cominciava a sanguinare. Mani invisibili mossero le cinture, lasciandole abbracciare la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Ma le cinture stringevano e la vita si allentava. Poi il ciondolo esplose. La radio esplose. I vetri in pezzi. Il sangue di ''Sadong Daewoo'' si unì a quello ferrigno dell'auto. Il motore rombò tre volte e tre volte grippò, in una risata a scoppio che soffocava con lui. Infine una scintilla, una supernova di metallo e la macchina era scomparsa.

Non siete costretti a credermi, io stesso non mi crederei. L'uomo che mi ha raccontato questa storia è morto ormai da anni (ironia della sorte, proprio a causa di un incidente stradale), e voi siete gli unici a conoscerla oltre a me. Ma ancora oggi, nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso turbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE'' nelle tenebre. E qualche vagabondo giura di aver visto una sudicia macchina blu aggirarsi per le campagne, seguendo le linee dei tralicci dell'alta tensione. Si muove a fari spenti, guidata da uno spettro. Mi sembra di vedere il
riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Nitido. Abbagliante. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.
Changed lines 22-23 from:
Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché fosse lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricarsi. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? cosa aveva fatto? Baciò le bruciature come fossero reliquie e inondò di lacrime il metallo. Fu in quel momento che lo udì. Nel silenzio. Inaspettato. Ridicolo. ''PEE''. Alzò gli occhi, stranito. ''PEE PEE''. Si guardò intorno, con una smorfia: da dove proveniva quel buffo rumore? ''PEE PEE PEE''. Si voltò. Alle sue spalle era comparsa un'automobile, vuota, blu, lucidissima, con qualche ammaccatura, ma piccola e graziosa. ''PEEEEEEEEE''. Era da lei che usciva quel suono, che fosse il clacson? Beh, buffo, pensò. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. ''PE PE PE PEEEEE''. Aprì la portiera, come in trance, controllò che dietro i sedili non ci fosse proprio nessuno, e si sedette. La sua attenzione fu subito calamitata dal ciondolo che dondolava dallo specchietto retrovisore, ne aveva regalato uno identico a ''Guyŏk Matiz'' anni prima. Gli occhi gli si riempirono ancora di lacrime. Singhiozzò per qualche minuto, esalando sbuffi di condensa sempre più densi: l'aria nell'abitacolo stava diventando sempre più fredda. ''Sandong'' forse se ne accorse, smise di piangere e tirò su forte col naso. Rimase con la testa sollevata a metà e un'espressione incuriosita sul volto. Sentiva un odore familiare, qualcosa che gli ricordava il Natale, strano... non era di dolci, o tacchino, o neve, o... però sì, gli veniva in mente proprio il Natale... Diavolo!, era lo stesso profumo che aveva regalato a sua...
to:
Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché fosse lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricare. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e pungente odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? cosa aveva fatto? Baciò le bruciature come fossero reliquie e inondò di lacrime il metallo. E fu in quel momento che lo udì. Nel silenzio. Inaspettato. Ridicolo. ''PEE''. Alzò gli occhi, stranito. ''PEE PEE''. Si guardò intorno, con una smorfia. ''PEE PEE PEE''. Si voltò: alle sue spalle era comparsa un'automobile, piccola, blu, vuota e con qualche ammaccatura. ''PEEEEEEEEE''. Era un clacson allora. Beh, buffo, pensò. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. ''PE PE PE PEEEEE''. Aprì la portiera, come in trance, controllò che dietro i sedili non ci fosse nessuno, e si sedette. Si guardò intorno e notò il ciondolo che dondolava dallo specchietto retrovisore: ne aveva regalato uno identico a ''Guyŏk Matiz'' anni prima. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Singhiozzò ancora per qualche minuto, in silenzio, esalando sbuffi di condensa sempre più densi ad ogni respiro. L'aria nell'abitacolo diventava sempre più fredda. Smise di piangere e tirò su forte col naso, rimanendo con la testa sollevata a metà e con un'espressione pensosa sul viso. Aveva sentito un odore familiare. Non gli veniva in mente quale, ma gli era familiare... era un buon profumo... una fragranza occidentale... ciannè, scianel, come si chiamava? sua moglie andava matta per quella roba... ricordò che quando a Natale le regalò il boccettino, lei gli giurò che... ''Sadong'' sgranò gli occhi.
Changed lines 26-31 from:
La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure automatiche erano scattate. La radio si accese su una frequenza disturbata. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiottate viscose di liquido grigio sul lunotto. L'orologio digitale segnava incandescenti le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati, il volante era bloccato, il cambio era rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. I timpani presero a sanguinare. Mani invisibili mossero le cinture, lasciando che abbracciassero la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Prima di perdere i sensi, sentì tre volte il motore rombare e gripparsi, in una risata meccanica che soffocava con lui. Un urlo. Una scintilla. La macchina era scomparsa.

Non siete costretti a credere alla mia storia, io stesso non mi crederei. Ma ancora oggi, in campagna, nelle afose e interminabili notti estive, la veglia degli insonni è spesso disturbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE''
nelle tenebre. E qualche automobilista giura di essere stato superato da una sudicia macchina blu guidata da uno spettro, e di essere stato abbagliato da un riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.

Bu
!
to:
La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure erano scattate. La radio si accese su frequenze disturbate. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiotti viscosi di liquido grigio sul lunotto. Prima di fondere, l'orologio digitale segnò con lettere incandescenti le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati. Il volante era bloccato. Il cambio era rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Il tettuccio cominciò a sanguinare. Mani invisibili mossero le cinture, lasciandole abbracciare la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Il ciondolo esplose. La radio esplose. I vetri in pezzi. Il sangue di ''Sadong Daewoo'' si univa a quello grigio della macchina. Il motore per tre volte rombò e si grippò, in una risata a scoppio che soffocava con lui. Una scintilla. Un boato. La macchina era scomparsa.

Non siete costretti a credermi, io stesso non mi crederei. Ma ancora oggi,
nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso turbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE'' nelle tenebre. E qualche vagabondo giura di aver visto una sudicia macchina blu aggirarsi per le campagne, seguendo le linee dei tralicci dell'alta tensione, a fari spenti e guidata da uno spettro. Giura di aver visto un riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Nitido. Abbagliante. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.

Buh
!
Changed lines 20-29 from:
In Corea, si sa, le notti sono lunghe e noiose quando non hai una donna né l'elettricità. La notte del 5 gennaio del 1998 era una di quelle, ed il signor ''Sadong Daewoo'' non potè praticare la quotidiana seduta di terapia elettroconvulsivante sulla consorte ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. La sua angoscia era comprensibile: saltare anche un solo elettroshock poteva avere effetti terrificanti (su di lui. La moglie non ne aveva alcun bisogno). Fu così che la trasportò coattamente al ''Sandro Pong'', il più vasto cimitero di automobili dell'Asia Orientale. Due pesanti cavi elettrici avvolgevano il suo braccio destro in fitte spire, mentre il sinistro trascinava il sacco di juta dove ''Guyŏk Matiz'' sognava il sogno degli anestetizzati. L'uomo trovò con facilità un varco nell'imponente recinzione di bambù, e s'incamminò nella necropoli metallizzata alla ricerca di una vettura che facesse al caso suo. Fuochi fatui illuminavano il sentiero, danzando nei fanali delle carcasse meccaniche. Dopo un'ora di estenuante pellegrinare, ''Daewoo'' lo trovò: un Mercedes-Benz O305 tripiano, l'autobus più ''cool'' dell'intera Germania Ovest (vaglielo a spiegare a un bifolco nordcoreano che la Germania Ovest ormai esisteva solo nei film di Bertolucci). Scaricò pesantemente moglie e cavi sui rottami, i secondi con attenzione, e si diresse risoluto verso il vano motore, aprendolo ed eliminando diverse trapunte di ragnatele. Tornò a prendere i cavi elettrici e li agganciò ai morsetti della batteria, lasciando che facessero da ponte tra la moglie e il Mercedes; perché è questo che un uomo deve fare: ponti, non muri. Dopo un rapido bacio sull'amata fronte, salì sul trabiccolo e lo mise in moto, lasciando che i Volt dell'O305 scorressero terapeutici in ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. Mise in folle e si allungò sugli scomodissimi sedili dei passeggeri, sacramentando come un Alpino ad ogni molla che gli schizzava ribelle nel culo. Raggiunta l'insensibilità dell'osso sacro, si rilassò concedendosi una sigaretta di barbabietola, il suo unico vizio, cominciando a contare mentalmente fino a 500.

Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché era lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricarsi. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? Baciò la macchia come fosse una reliquia e inondò di lacrime il metallo. Fu in quel momento che lo udì. PEE. Alzò gli occhi, stranito. PEE PEE. Si guardò intorno, con una smorfia: da dove proveniva quel rumore suono ridicolo? PEE PEE PEE. Si voltò. Alle sue spalle era comparsa un'automobile, vuota, blu, lucidissima, con qualche ammaccatura ma piccola e graziosa. PEEEEEEEEE. Era da lei che proveniva il rumore, che fosse il clacson? Beh, buffo, pensò ''Sadong''. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. PE PE PE PEEEEE. Aprì la portiera, come in trance, e si sedette. Gli interni avevano un odore familiare. Qualcosa che gli ricordava Natale, forse... o... sì, Natale! Sì, era la stessa fragranza del profumo che aveva regalato a sua...

"NO!"

La porta si richiuse da sola, e con essa i finestrini.
''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure automatiche erano scattate in tutte e cinque le porte. La radio si accese su una frequenza disturbata. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiottate di liquido grigio sul lunotto, mentre sull'orologio digitale comparivano le lettere "AC:DC". I pedali erano bloccati, il volante bloccato, il cambio rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Le orecchie gli sanguinarono. Mani invisibili mossero le cinture, lasciando che abbracciassero la gola di ''Sadong''. Lui non ci provò nemmeno ad opporsi, forse per paura o forse per orgoglio. Forse era un incubo. Prima di perdere i sensi sentì due volte il motore rombare e subito gripparsi, in una risata meccanica che stava soffocando con lui. Un attimo dopo la macchina era scomparsa.

Potete non credere alla mia storia, ma è la pura verità. Ancora oggi, nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso disturbata dall'echeggiare sinistro di un PEE
nelle tenebre. E qualche automobilista giura di essere stato superato da una sudicia macchina blu guidata da uno spettro, e di essere stato abbagliato da un riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.
to:
In Corea, si sa, le notti sono lunghe e noiose quando non hai una donna né l'elettricità. La notte del 5 gennaio del 1998 era una di quelle, ed il signor ''Sadong Daewoo'' non potè praticare la quotidiana seduta di terapia elettroconvulsivante sulla consorte ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. La sua angoscia era comprensibile: saltare anche un solo elettroshock poteva avere effetti terrificanti (su di lui. La moglie non ne aveva alcun bisogno). Fu così che la trasportò coatta al ''Sandro Pong'', il più vasto cimitero di automobili dell'Asia Orientale. Due pesanti cavi elettrici gli avvolgevano il braccio destro in fitte spire, mentre col sinistro trascinava il sacco di juta dove ''Guyŏk Matiz'' sognava il sogno degli anestetizzati. Trovò con ridicola facilità un varco nella fatiscente recinzione di bambù, e s'incamminò nella necropoli metallizzata alla ricerca di una vettura che facesse al caso suo. Fuochi fatui illuminavano il sentiero, danzando nei fanali delle carcasse meccaniche. Dopo un'ora di estenuante pellegrinare, ''Daewoo'' lo trovò: un Mercedes-Benz O305 tripiano, l'autobus più ''cool'' dell'intera Germania Ovest (vaglielo a spiegare a un bifolco nordcoreano che la Germania Ovest ormai esisteva solo nei film porno-soft di Bertolucci). Scaricò pesantemente moglie e cavi sui rottami, i secondi con attenzione, e si diresse risoluto verso il vano motore, aprendolo ed eliminando diverse trapunte di ragnatele. Tornò indietro per i cavi e li agganciò ai morsetti della batteria, lasciando che facessero da ponte elettrico tra la moglie e il Mercedes; perché è questo che un uomo deve fare: ponti, non barriere. Dopo un bacio fugace sull'amata fronte, salì sul trabiccolo e lo mise in moto, lasciando che i Volt dell'O305 scorressero terapeutici in ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. Mise in folle tutto soddisfatto e si allungò sugli scomodissimi sedili dei passeggeri, sacramentando come un Alpino ad ogni molla che gli schizzava ribelle nel culo. Raggiunta finalmente l'insensibilità dell'osso sacro, si rilassò concedendosi una sigaretta di barbabietola, il suo unico vizio, cominciando a contare mentalmente fino a 500.

Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché fosse lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricarsi. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? cosa aveva fatto? Baciò le bruciature come fossero reliquie e inondò di lacrime il metallo. Fu in quel momento che lo udì. Nel silenzio. Inaspettato. Ridicolo. ''PEE''. Alzò gli occhi, stranito. ''PEE PEE''. Si guardò intorno, con una smorfia: da dove proveniva quel buffo rumore? ''PEE PEE PEE''. Si voltò. Alle sue spalle era comparsa un'automobile, vuota, blu, lucidissima, con qualche ammaccatura, ma piccola e graziosa. ''PEEEEEEEEE''. Era da lei che usciva quel suono, che fosse il clacson? Beh, buffo, pensò. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. ''PE PE PE PEEEEE''. Aprì la portiera, come in trance, controllò che dietro i sedili non ci fosse proprio nessuno, e si sedette. La sua attenzione fu subito calamitata dal ciondolo che dondolava dallo specchietto retrovisore, ne aveva regalato uno identico a ''Guyŏk Matiz'' anni prima. Gli occhi gli si riempirono ancora di lacrime. Singhiozzò per qualche minuto, esalando sbuffi di condensa sempre più densi: l'aria nell'abitacolo stava diventando sempre più fredda. ''Sandong'' forse se ne accorse, smise di piangere e tirò su forte col naso. Rimase con la testa sollevata a metà e un'espressione incuriosita sul volto. Sentiva un odore familiare, qualcosa che gli ricordava il Natale, strano... non era di dolci, o tacchino, o neve, o... però sì, gli veniva in mente proprio il Natale... Diavolo!, era lo stesso profumo che aveva regalato a sua...

"'''NO!'''"

La porta si richiuse da sola, sbattendo, e i finestrini con essa. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure automatiche erano scattate. La radio si accese su una frequenza disturbata
. Rumori stridenti. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiottate viscose di liquido grigio sul lunotto. L'orologio digitale segnava incandescenti le ore "AC:DC". I pedali erano bloccati, il volante era bloccato, il cambio era rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. I timpani presero a sanguinare. Mani invisibili mossero le cinture, lasciando che abbracciassero la gola dell'uomo. Lui non provò nemmeno ad opporsi, forse per paura forse per giustizia. Prima di perdere i sensi, sentì tre volte il motore rombare e gripparsi, in una risata meccanica che soffocava con lui. Un urlo. Una scintilla. La macchina era scomparsa.

Non siete costretti a credere alla mia storia, io stesso non mi crederei. Ma ancora oggi, in campagna, nelle afose e interminabili notti estive, la veglia degli insonni è spesso disturbata dall'echeggiare sinistro di un ''PEE''
nelle tenebre. E qualche automobilista giura di essere stato superato da una sudicia macchina blu guidata da uno spettro, e di essere stato abbagliato da un riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.
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In Corea, si sa, le notti sono lunghe e noiose quando non hai una donna né l'elettricità. La notte del 5 gennaio del 1998 era una di quelle, ed il signor ''Sadong Daewoo'' non potè praticare la quotidiana seduta di terapia elettroconvulsivante sulla consorte ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. La sua angoscia era comprensibile: saltare anche un solo elettroshock poteva avere effetti terrificanti (su di lui. La moglie in realtà non ne aveva alcun bisogno). Fu così che la trasportò coattamente al ''Sunan Pong'', il più vasto cimitero di automobili dell'Asia Orientale. Due pesanti cavi elettrici avvolgevano nelle loro spire il suo braccio destro, mentre il sinistro trascinava il sacco di juta dove ''Guyŏk Matiz'' sognava il sogno degli anestetizzati. Il premuroso marito trovò facilmente un varco nell'imponente recinzione di bambù, e s'incamminò nella necropoli metallizzata alla ricerca di una vettura che facesse al caso suo. Fuochi fatui illuminavano il sentiero, danzando nei fanali delle carcasse meccaniche, ed è alla loro luce che ''Daewoo'', dopo un'ora di estenuante cammino, lo trovò: un Mercedes-Benz O305 tripiano, l'autobus più ''cool'' dell'intera Germania Ovest (vaglielo a spiegare a un bifolco nordcoreano che la Germania Ovest ormai esisteva solo nei film di Bertolucci). Scaricò pesantemente moglie e cavi sui rottami, i secondi con attenzione, e si diresse risoluto verso il vano motore, aprendolo ed eliminando diverse trapunte di ragnatele. Tornò a prendere i cavi elettrici e li agganciò ai morsetti della batteria, lasciando che facessero da ponte tra la moglie e il Mercedes, perché è questo che un uomo deve fare: ponti, non muri. Dopo un rapido bacio sull'amata fronte, salì sul trabiccolo e lo mise in moto, lasciando che i Volt dell'O305 scorressero terapeutici in ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. Mise in folle e si allungò sugli scomodissimi sedili dei passeggeri, sacramentando come un Alpino ad ogni molla che gli schizzava ribelle nel culo. Raggiunta l'insensibilità dell'osso sacro, si rilassò concedendosi una sigaretta di barbabietola, il suo unico vizio.\\
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In Corea, si sa, le notti sono lunghe e noiose quando non hai una donna né l'elettricità. La notte del 5 gennaio del 1998 era una di quelle, ed il signor ''Sadong Daewoo'' non potè praticare la quotidiana seduta di terapia elettroconvulsivante sulla consorte ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. La sua angoscia era comprensibile: saltare anche un solo elettroshock poteva avere effetti terrificanti (su di lui. La moglie non ne aveva alcun bisogno). Fu così che la trasportò coattamente al ''Sandro Pong'', il più vasto cimitero di automobili dell'Asia Orientale. Due pesanti cavi elettrici avvolgevano il suo braccio destro in fitte spire, mentre il sinistro trascinava il sacco di juta dove ''Guyŏk Matiz'' sognava il sogno degli anestetizzati. L'uomo trovò con facilità un varco nell'imponente recinzione di bambù, e s'incamminò nella necropoli metallizzata alla ricerca di una vettura che facesse al caso suo. Fuochi fatui illuminavano il sentiero, danzando nei fanali delle carcasse meccaniche. Dopo un'ora di estenuante pellegrinare, ''Daewoo'' lo trovò: un Mercedes-Benz O305 tripiano, l'autobus più ''cool'' dell'intera Germania Ovest (vaglielo a spiegare a un bifolco nordcoreano che la Germania Ovest ormai esisteva solo nei film di Bertolucci). Scaricò pesantemente moglie e cavi sui rottami, i secondi con attenzione, e si diresse risoluto verso il vano motore, aprendolo ed eliminando diverse trapunte di ragnatele. Tornò a prendere i cavi elettrici e li agganciò ai morsetti della batteria, lasciando che facessero da ponte tra la moglie e il Mercedes; perché è questo che un uomo deve fare: ponti, non muri. Dopo un rapido bacio sull'amata fronte, salì sul trabiccolo e lo mise in moto, lasciando che i Volt dell'O305 scorressero terapeutici in ''Guyŏk Matiz Taesŏng''. Mise in folle e si allungò sugli scomodissimi sedili dei passeggeri, sacramentando come un Alpino ad ogni molla che gli schizzava ribelle nel culo. Raggiunta l'insensibilità dell'osso sacro, si rilassò concedendosi una sigaretta di barbabietola, il suo unico vizio, cominciando a contare mentalmente fino a 500.

Quando riaprì gli occhi era ormai mattina. La mente ancora assonnata, impiegò sei secondi per realizzare dov'era. Altri sei per ricordare perché era lì. Uno e mezzo per precipitarsi fuori, in preda al panico, verso la lamiera dove aveva lasciato la moglie a ricaricarsi. La lamiera c'era, lei no. Al suo posto una macchia color argento e odore di strino. ''Sadong Daewoo'' urlò con tutto il fiato che aveva in gola, gettandosi in ginocchio, le mani nei capelli, cosa aveva fatto? Baciò la macchia come fosse una reliquia e inondò di lacrime il metallo. Fu in quel momento che lo udì. PEE. Alzò gli occhi, stranito. PEE PEE. Si guardò intorno, con una smorfia: da dove proveniva quel rumore suono ridicolo? PEE PEE PEE. Si voltò. Alle sue spalle era comparsa un'automobile, vuota, blu, lucidissima, con qualche ammaccatura ma piccola e graziosa. PEEEEEEEEE. Era da lei che proveniva il rumore, che fosse il clacson? Beh, buffo, pensò ''Sadong''. Si avvicinò, con diffidenza. Toccò la carrozzeria con la punta delle dita e giurò di aver visto la macchina vibrare al contatto, colorandosi leggermente di rosso. PE PE PE PEEEEE. Aprì la portiera, come in trance, e si sedette. Gli interni avevano un odore familiare. Qualcosa che gli ricordava Natale, forse... o... sì, Natale! Sì, era la stessa fragranza del profumo che aveva regalato a sua...

"NO!"

La porta si richiuse da sola, e con essa i finestrini. ''Sadong'' provò a riaprirla, ma le chiusure automatiche erano scattate in tutte e cinque le porte. La radio si accese su una frequenza disturbata. Rumori di scarica. Il lavacristalli pompò fiottate di liquido grigio sul lunotto, mentre sull'orologio digitale comparivano le lettere "AC:DC". I pedali erano bloccati, il volante bloccato, il cambio rigido come il corpo del coreano. Il volume della radio aumentava. Le orecchie gli sanguinarono. Mani invisibili mossero le cinture, lasciando che abbracciassero la gola di ''Sadong''. Lui non ci provò nemmeno ad opporsi, forse per paura o forse per orgoglio. Forse era un incubo. Prima di perdere i sensi sentì due volte il motore rombare e subito gripparsi, in una risata meccanica che stava soffocando con lui. Un attimo dopo la macchina era scomparsa.

Potete non credere alla mia storia, ma è la pura verità. Ancora oggi, nelle afose notti estive, la veglia degli insonni è spesso disturbata dall'echeggiare sinistro di un PEE nelle tenebre. E qualche automobilista giura di essere stato superato da una sudicia macchina blu guidata da uno spettro, e di essere stato abbagliato da un riflesso argenteo sulla sua carrozzeria. Una scritta. Un nome. ''Matiz''.

Bu!
Added lines 1-23:
(:title Matiz:)

%lframe width=400% http://img50.imageshack.us/img50/7200/chery3at7.jpg|'''La linea aggressiva della nuova Matiz'''
(:table border=0 cellpadding=5 cellspacing=0 align=right:)
(:cellnr bgcolor=#e7e7e7 colspan=2 align=center:) '''Dati Tecnici'''
(:cellnr:) ''Inizio produzione:''
(:cell:) 1998
(:cellnr bgcolor=#f6f6f6:) ''Cavalli:''
(:cell bgcolor=#f6f6f6:) Al traino
(:cellnr:) ''Consumi:''
(:cell:) 3.4 km/l (in caduta libera)
(:cellnr bgcolor=#f6f6f6:) ''Optionals:''
(:cell bgcolor=#f6f6f6:) Lettore CD, ruote
(:cellnr:) ''Garanzia:''
(:cell:) Una settimana
(:tableend:)
[[<<]]

!!!!Leggenda
In Corea, si sa, le notti sono lunghe e noiose quando non hai una donna né l'elettricità. La notte del 5 gennaio del 1998 era una di quelle, ed il signor ''Sadong Daewoo'' non potè praticare la quotidiana seduta di terapia elettroconvulsivante sulla consorte ''Guy&#335;k Matiz Taes&#335;ng''. La sua angoscia era comprensibile: saltare anche un solo elettroshock poteva avere effetti terrificanti (su di lui. La moglie in realtà non ne aveva alcun bisogno). Fu così che la trasportò coattamente al ''Sunan Pong'', il più vasto cimitero di automobili dell'Asia Orientale. Due pesanti cavi elettrici avvolgevano nelle loro spire il suo braccio destro, mentre il sinistro trascinava il sacco di juta dove ''Guy&#335;k Matiz'' sognava il sogno degli anestetizzati. Il premuroso marito trovò facilmente un varco nell'imponente recinzione di bambù, e s'incamminò nella necropoli metallizzata alla ricerca di una vettura che facesse al caso suo. Fuochi fatui illuminavano il sentiero, danzando nei fanali delle carcasse meccaniche, ed è alla loro luce che ''Daewoo'', dopo un'ora di estenuante cammino, lo trovò: un Mercedes-Benz O305 tripiano, l'autobus più ''cool'' dell'intera Germania Ovest (vaglielo a spiegare a un bifolco nordcoreano che la Germania Ovest ormai esisteva solo nei film di Bertolucci). Scaricò pesantemente moglie e cavi sui rottami, i secondi con attenzione, e si diresse risoluto verso il vano motore, aprendolo ed eliminando diverse trapunte di ragnatele. Tornò a prendere i cavi elettrici e li agganciò ai morsetti della batteria, lasciando che facessero da ponte tra la moglie e il Mercedes, perché è questo che un uomo deve fare: ponti, non muri. Dopo un rapido bacio sull'amata fronte, salì sul trabiccolo e lo mise in moto, lasciando che i Volt dell'O305 scorressero terapeutici in ''Guy&#335;k Matiz Taes&#335;ng''. Mise in folle e si allungò sugli scomodissimi sedili dei passeggeri, sacramentando come un Alpino ad ogni molla che gli schizzava ribelle nel culo. Raggiunta l'insensibilità dell'osso sacro, si rilassò concedendosi una sigaretta di barbabietola, il suo unico vizio.\\

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